Un recente studio condotto nei Paesi Bassi ha messo in luce un collegamento significativo tra il microbiota e le ammissioni ospedaliere.
Il gruppo ricerca ha esaminato due gruppi distinti di pazienti in Europa e ha scoperto che ogni aumento del 10% dei batteri che producono butirrato è associato a una riduzione del rischio di ricovero ospedaliero per infezioni tra il 14 e il 25%.
Il lavoro, che sarà presentato al prossimo congresso di Eccmid (European Congress of Clinical Microbiology and Infectious Diseases) a Barcellona, è stato condotto da Robert Kullberg e colleghi presso l’Amsterdam University Medical Center.
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La variazione del microbiota:
Le variazioni nel microbiota sono frequenti nei pazienti ricoverati per infezioni gravi, e gli studi preclinici hanno indicato che i batteri anaerobi che producono butirrato possono fornire una protezione contro le infezioni sistemiche. Tali batteri sono stati oggetto di studio perché risultano scarsamente presenti nei pazienti ospedalizzati per infezioni gravi e perché il butirrato potrebbe avere effetti protettivi anche in altre gravi condizioni intestinali non infettive.
Sebbene la relazione tra disbiosi del microbiota e aumento delle infezioni gravi non sia ancora del tutto chiara, questo studio ha esaminato la relazione tra microbiota basale e il rischio di futuri ricoveri ospedalieri per infezioni, utilizzando dati provenienti da due importanti studi di popolazione, l’Helius danese e il Finrisk 2002 finlandese.
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L’analisi:
I ricercatori hanno caratterizzato il microbiota intestinale sequenziando il DNA dei batteri presenti nelle feci dei partecipanti, identificandone così le diverse tipologie. Successivamente, hanno analizzato la composizione del microbiota, la sua diversità e la presenza di batteri che producono butirrato, tenendo conto di variabili come lo stile di vita, l’uso di antibiotici e altre condizioni di salute.
Il profilo del microbiota di 10.699 partecipanti è stato analizzato, di cui 602 erano stati ricoverati o erano deceduti a causa di infezioni durante il periodo di follow-up, prevalentemente polmoniti. Si è osservato che il microbiota intestinale dei pazienti ricoverati o deceduti differiva da quello degli altri partecipanti.
Inoltre, è emerso che ogni aumento del 10% nella presenza di batteri produttori di butirrato era associato a un ridotto rischio di ospedalizzazione per infezioni, sia nel gruppo danese che in quello finlandese. Queste associazioni sono rimaste significative anche dopo aver tenuto conto delle altre variabili considerate.
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I risultati:
Gli autori dello studio hanno sottolineato che una composizione ottimale del microbiota intestinale, in particolare una presenza significativa di batteri produttori di butirrato, sembra offrire una protezione contro le infezioni ospedaliere nella popolazione generale, come dimostrato da due grandi coorti europee indipendenti. Ulteriori ricerche saranno necessarie per valutare se la modulazione del microbiota possa effettivamente ridurre il rischio di infezioni gravi. Tuttavia, sottolineano che una delle sfide sarà trovare modi per trasportare con successo batteri vitali nell’intestino, considerando che quelli che producono butirrato sono anaerobi e non tollerano l’ossigeno.
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Studi simili:
Un altro studio condotto presso l’Università Cattolica di Roma e pubblicato alcuni anni fa sottolinea una scoperta simile. Questo studio ha dimostrato che un trapianto fecale che introduce batteri sani, inclusi quelli produttori di butirrato, riduce il rischio di setticemia e mortalità nei pazienti affetti da Clostridium difficile. Questo perché il butirrato, un acido grasso a catena corta, è benefico per la salute cellulare e la protezione della barriera intestinale.
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Conclusioni:
Gli alimenti ricchi di inulina stimolano la crescita dei batteri produttori di butirrato, ma secondo gli esperti, è importante mantenere una dieta equilibrata che favorisca una diversità adeguata del microbiota, con una buona presenza di batteri antinfiammatori e una bassa presenza di batteri proinfiammatori.
La dieta può svolgere un ruolo fondamentale nel modulare il microbiota a lungo termine, ma va considerata in concomitanza ad altri fattori come l’allattamento al seno, l’uso di antibiotici e interventi chirurgici intestinali.